Se state leggendo queste righe è perché, come me, avete amato alla follia la prima indimenticabile serie scritta dalla brava sceneggiatrice Lee Soo Yeon che qui cerca, un po’ con difficoltà, di riproporre un’esperienza audiovisiva al livello della precedente, senza però riuscirci pienamente. Premetto che odio i paragoni, ma va da sé che ogni nuova stagione debba rapportarsi con quella che l’ha preceduta. Qui il raffronto diviene arduo anche se le indagini vengono portate avanti nuovamente dal duo che abbiamo amato ossia dal procuratore Hwang Si-Mok (Jo Seung Woo) e dall’ufficiale di polizia Han Yeo Jin (sempre interpretata dalla mitica Bae Doo Na).
Il k-drama in questione è di alto livello, intendiamoci, nulla da eccepire in ambito tecnico, ma sull’aspetto contenutistico a volte la sceneggiatrice (o il supervisor della serie) tralascia alcune delucidazioni per riprenderle troppo in là, confondendo anche i più arguti fruitori. Se poi ci aggiungiamo il fatto che un paio di sotto-trame sono legate alla prima serie che abbiamo visto ormai tre anni fa, è palese perdersi per strada qualche particolare. Questo accade soprattutto nei primi episodi dove viene messa troppa carne al fuoco e si finisce per non capire esattamente dove la storia voglia andare a parare. La confusione si palesa per ben sette episodi (!) dando anche ampio spazio alla noia poiché, in primis, la figura del procuratore è molto diversa da come la ricordavamo e gli stilemi narrativi sono propensi ad allungare il brodo per sostenere i sedici episodi voluti da TVN e Studio Dragon. Ed è proprio a metà che – finalmente – succede qualcosa. Aver raggiunto con difficoltà l’ottavo episodio è a dir poco inconsueto nelle produzioni coreane, ma il colpo di scena parte negli ultimi sessanta secondi della settima puntata definendo così un cliffhanger potentissimo che invita a lanciarsi subito nell’episodio successivo. E sì, lì (e solo lì) ho capito che avevo fatto bene ad attendere poiché il ritmo narrativo finalmente prende a procedere e si riconosce anche il Si-Mok che avevamo tanto amato nella prima stagione. E qui sorge spontanea la domanda: ma di che parla ‘sta serie?
Ecco, trovare una risposta mi mette in difficoltà perché è facilissimo spoilerare (e noi non vogliamo mai farlo nelle nostre reviews), ma soprattutto affronterei la risposta spiegando ciò che accade dall’ottavo episodio in poi (e questa cosa la dice lunga). In estrema sintesi il focus è capire chi, tra Procura e Polizia nazionale, deve avere più poteri, ma in questo acceso scontro tra le parti scompare un procuratore e il mistero si infittisce quando la polizia riceve una lettera intrisa di sangue. I due protagonisti, dinnanzi alle difficoltà burocratiche e sociali, si daranno da fare affinché la giustizia ritorni ad avere ruolo egemone. Ci riusciranno? Per scoprirlo dovrete guardare tutta la serie cercando di non perdervi nelle (troppe) sotto-trame che dovrebbero, ahimè solo in parte, giustificare l’intrigo che si nasconde dietro a due figure di spicco.
Le regole del giallo vengono utilizzate al meglio per mantenere alto l’hype dei fruitori, ma talvolta si palesa un eccessivo utilizzo di personaggi secondari che, a lungo andare, si scopre che non hanno poi così tanto valore al fine dell’indagine principale. Anzi, uno tra questi, un ufficiale di polizia (ma non posso dire altro) viene addirittura dimenticato nei due episodi finali dove, solitamente, si fa il punto della situazione e si dà un sunto di come siano andate le cose per tutti i personaggi a cui, inevitabilmente, ci si affeziona durante la visione.
Tanta empatia, soprattutto verso la fine, può portare a qualche lacrimuccia (ho scritto “qualche”, il k-drama è più una serie detection che drammatica) e ci sono spunti che farebbero intendere a una terza stagione di cui, si spera, sia meno verbosa e più ritmata.
Concludo dicendo che è anche un’ottima serie per comprendere al meglio come funziona la giustizia coreana e quali siano le insidie che si nascondono nella burocrazia di quel Paese.
Non mi resta altro da fare che augurarvi una buona visione!