Ad Agosto di quest’anno, circa 1000 coppie si sono sposate durante una cerimonia a Gapyeong, a Nord-Est di Seoul, mentre 3000 hanno rinnovati i voti nuziali; in tutto, 64 nazionalità si sono ritrovate al matrimonio di massa che incarna l’Unification Church basata su suolo coreano.
Dai primi anni ’60 fino alla sua morte nel 2012, il fondatore della chiesa e autoproclamato messia, Sun Myung Moon, ha svolto il ruolo di ‘Cupido’, accoppiando persone che non si erano mai viste e, delle volte, che non parlavano neanche la stessa lingua; i genitori della sig.ra Lumibao, seconda generazione della chiesa, erano completi estranei quando Moon, che dichiarò di essere stato scelto da Gesù Cristo per creare un mondo ideale di pace e armonia, li accoppiò.
Dalla morte di Moon, le cose sono un po’ cambiate, poiché piuttosto che avere i propri genitori o la chiesa che decidono per loro, i più giovani possono anche scegliere con cui sposarsi. “Un tempo eravamo fortunati ad avere degli estranei, tuttavia adesso è abbastanza diverso poiché possiamo fare questa decisione in autonomia, possiamo conoscere la persona e, se desideriamo continuare, possiamo fare il passo successivo e creare un futuro insieme” ha dichiarato la sig.ra Lumibao.
Per anni sono arrivate molte critiche denigrando il movimento, bollandolo come un culto eretico e pericoloso, e hanno messo in dubbio la provenienza dei fondi e come vengono indottrinati i suoi seguaci, conosciuti col termine dispregiativo di “Moonies”; tuttavia la sig.ra Lumibao pensa che le nuove generazioni debbano continuare questa tradizione dei matrimoni, “credo che i valori del nostro movimento sono importanti” ha confessato “e penso che le nostre future generazioni debbano ereditare ciò poiché è salutare per gli individui, le famiglie e la società”.
La cerimonia, però, fornisce solo un’unione simbolica; le coppie devono comunque sposarsi legalmente nei loro paesi di origine. Poiché il Movimento di Unificazione è una corrente globale, relazioni a distanza sono molto comuni.
Il modo di vivere del Movimento e le sue tradizioni matrimoniali non sono per tutti: alcuni cresciuti nella fede hanno abbandonato per paura di essere accoppiati con degli estranei, mentre altri sposi hanno finito per divorziare. Secondo la chiesa, però, la percentuale di separazioni è al di sotto del 12% nel Movimento americano e, negli ultimi cinque anni, meno del 5% delle coppie che hanno ricevuto la benedizione hanno annullato il matrimonio.
Il divorzio, storicamente quasi inesistente, è apparso in Corea in consistenti numeri negli anni ’70 e adesso è più possibile che si verifichi; nel 2004, 458 coppie ogni giorno si sono separate, con una media di 41.3 per gli uomini e 37.9 per le donne.
Secondo il ‘Korea Legal Aid Center for Family Relations’, che ha analizzato oltre 1.46 milioni di consultazioni tra il 1956 e il 2016, ogni decennio differisce dai precedenti in termini di ragioni per richiesta di divorzio.
Per esempio, fra gli anni ’50 e ’60, le richieste di annullamento di unioni di fatto erano prevalenti (11.1%); all’epoca le coppie erano meno familiari con l’idea della registrazione di un matrimonio e le convivenze di fatto erano molto comuni.
Negli anni ’70, le consulenze per ‘conflitto fra marito e moglie’ divennero predominanti (21.8%), periodo che mostrò anche un alto tasso di ‘disperso per più di tre anni’ come ulteriore motivazione per un divorzio, puntualizzando che molti vennero a mancare a causa della guerra di Corea e quella del Vietnam.
Gli anni ’90 videro le donne diventare più consapevoli dei loro diritti rispetto agli anni passati, per cui, mentre prima avevano la tendenza a sopportare le violenze domestiche, in questo periodo erano più inclini a cercare di scappare da situazioni di abuso tramite la separazione (33.5%).
Le richiesta di divorzio si sono intensificate negli anni 2000 fino a raggiungere il 51.7; da notare, secondo il Centro, che l’11% degli uomini hanno indicato come ragione per l’annullamento ‘maltrattamento da parte della sposa’, poiché, a seguito della crisi finanziaria del 1997, molte più donne sono diventate attive economicamente, avendo maggiori posizioni autoritarie nelle case, che risultò, in alcuni casi, in un sentimento di trascuratezza da parte dei mariti.
Fra i 2000 e i 2010, le motivazioni per il divorzio divennero sempre più astratte e difficili da provare, come ‘perdita di affezione’, ‘poca comunicazione’, ‘differenze di carattere’, aumentando, quindi, le coppie che si separano per ragioni che in passato venivano considerate irrilevanti.
Nonostante il tasso di divorzio è uno dei più alti tra i 34 paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (2.3 nel 2011), persiste ancora una sorta di stigma verso i separati. Una ragazza ha affidato le sue preoccupazione a un post su un forum, spiegando che, nonostante sia divorziata da più di un anno, colleghi e amici continuano a prendersi gioco di lei. Ha dichiarato come, dopo il matrimonio, suo marito sia cambiato completamente, diventando freddo nei suoi confronti e come ciò abbia influito sui loro sentimenti, portandoli a litigare quasi tutti i giorni, anche fisicamente. Secondo la sua visione, la separazione era inevitabile, ma la società non è dello stesso parere.
Essendo la Corea un paese molto conservativa e familio-centrica, molte coppie, sposati da lungo tempo, decidono, di comune accordo, invece di divorziare, di ‘laurearsi’ dal matrimonio; 졸혼 (jol-hon) o ‘laurea dal matrimonio’ è un termine che fu coniato dalla scrittrice giapponese Yumiko Sugiyama nel 2004 in uno dei suoi libri, ma è diventato di dominio pubblico a seguito dell’uso che ne ha fatto l’attore veterano Baik Il-seop per descrivere il suo attuale stato sentimentale.
Difatti, i ‘laureati’ non considerano il divorzio e preferiscono vivere separatamente mantenendo il loro status di sposati, non sentendosi, tuttavia, obbligati ai lavori domestici o altri doveri come parte della loro relazione.
‘Jol-hon’ sta diventando piano piano, una popolare alternativa ai ‘divorzi grigi’, ovvero a quelle separazioni di persone che sono state sposate per molti anni, poiché, essendo cresciuti con un’educazione conservativa, si sentono ancora sotto pressione se concludono decenni di matrimonio con un divorzio.
Secondo Kim Se-won, professoressa dell’Università Cattolica di Corea, il ‘jol-hon’ può essere visto come un’attraente opzione per i coreani perché sono spaventati di ciò che la società possa pensare di loro che hanno interrotto un’unione. ‘Ci sono coppie che non si sopportano più e non hanno nessuna speranza nel migliorare la loro relazione, ma rimangono indecisi sul divorzio poiché hanno paura delle parole degli altri‘ ha detto Kim ‘non vogliono smuovere le acque, non vogliono essere visti come dei perdenti o come i responsabili di un rapporto finito, odiano ammettere che la loro scelta del partner si è rivelata essere completamente sbagliata‘.
Un sondaggio su 548 uomini e donne non sposate condotto dagli organizzatori di matrimoni di Gayeon nel maggio 2016 ha mostrato come le giovani generazioni vedono la ‘laurea’ da matrimonio come qualcosa di positivo che potrebbero considerare in futuro; più della metà di loro ha risposto che sono disposti a suggerire al proprio compagno di vivere separati quando i loro figli sono cresciuti, pur restando sposati.
Secondo delle statistiche rilasciate dal Seoul Metropolitan Government, il 41% degli abitanti di Seoul esaminati ha dichiarato che vede al matrimonio come una questione di scelta piuttosto che un obbligo nel 2014, rispetto al 28.9% del 2006, mentre coloro che sentono il matrimonio come un dovere sono diminuiti dal 23.5% del 2006 al 13.5%.
In base alle indagini di Statistics Korea, nel 1996 vennero registrati 430000 matrimoni, dato che è sceso vertiginosamente nel 2017 dove solo 260000 casi sono stati annotati.
Sono, inoltre, aumentate le famiglie unipersonali; nel 2016, circa 5.4 milioni di coreani vivono in solitaria, cifra che è più che duplicata dal 2000.
La blogger Lee Min-ji è irremovibile nel rifiutare il matrimonio, spera di devolvere la sua vita interamente alla carriera e lo sviluppo personale, il bisogno di affetto è completamente soddisfatto dall’uscire con qualcuno, dice. “Ho un fidanzato da sette anni, eppure la prima cosa che le persone mi chiedono è ‘perché stare insieme per così tanto tempo se non vuoi sposarti?’. Ma le due cose sono completamente diverse.”
Per Lee, il matrimonio significa ritrovarsi un’altra serie di parenti indesiderati, essere schiacciati dai lavori casalinghi, crescere figli, essere accusati di fare il genitore dispotico, essere costantemente stressati per paura che il partner sia infedele e tutto ciò pur mantenendo un lavoro. “Razionalmente, in termini di pro e contro, ci sono poche ragioni per sposarsi” ha dichiarato.
In un sondaggio di Aprile condotto dai siti di ricerca di lavoro Job Korea e Albamon, il 15% dei 1141 adulti intervistati hanno confessato che non si sposeranno mai, un altro 15% ha affermato che desidera convolare a nozze, ma la maggioranza è stata incerta, rispondendo che nonostante per adesso, non abbiano desiderio di unirsi in matrimonio, in futuro potrebbero aprirsi a tale idea se cambieranno la loro situazione economica o la loro mentalità. Nelle statistiche, coloro che sono più inclini alla vita da single hanno citato ‘libertà e possibilità di godersi del tempo per sé stessi’ come il fattore più attraente; una larga fetta di uomini ha menzionato il peso finanziario come un motivo per evitare il matrimonio, mentre le donne hanno dichiarato di essere preoccupate di non poter più investire su loro stesse, in termini di carriera, crescita personale e tempo libero.
La generazione di coreani che va dai 25 ai 35 anni ha beneficiato crescendo di un ‘monopolio’ di svariate cose, sia materiali che emotivi, ha detto Kim Sung-sam, professore di psicologia alla Daegu Haany University; ha notato, di conseguenza, che proteggere il loro modo di vivere e il loro autocompiacimento è il valore massimo per i coreani. “Crescendo soli o con pochi fratelli, non c’era bisogno di sacrificare la loro individualità o i loro progetti futuri per altri e questo modo di vivere continua anche dopo essere diventati adulti” ha dichiarato. Con un elevato senso di sé stessi, molti temono di ripetere gli stessi errori dei propri genitori che sono sempre stati troppo distanti o prepotenti. “Sono attenti a come appaiono agli altri e ciò si estende anche alla famiglia” ha aggiunto.
Per alcuni invece, il problema del matrimonio è molto più tangibile: molti uomini intervistati hanno dichiarato di non aver possibilità economiche per sostenere una cerimonia, di comprare una casa e di sostenere l’educazione dei figli per cui non possono sposarsi.
Ciò che molti coreani consideravano una vita ‘normale’, ovvero quello di una coppia e della famiglia che ne segue, oggigiorno sta diventando pian piano irraggiungibile, richiedendo coscienziosi sforzi e qualità, scrive nel suo libro Kim Hong-joong, professore di sociologia alla Seoul National University.
“Le statistiche mostrano che coloro che decidono di sposarsi cercano partner con stesso status sociale e finanziario, vedendo nel matrimonio un modo di riprodurre la ricchezza o a un modo di unire due famiglie” ha dichiarato Koo Jung-woo, professore di sociologia alla Sungkyunkwan University “per ora il convolare a nozze è molto più facile per chi ha intenzione di seguire le orme dei loro genitori, per coloro che vogliono vivere con quelle norme tradizionali”.
Secondo Koo, a un livello di politica, c’è bisogno di un doppio approccio simultaneo per incoraggiare i matrimoni e offrire un sistema sociale intento a integrare i sempre più maggiori single; diversificare le forme di unione è un inizio, permettendo più benefici per i legami de facto come tipo di compromesso.
Diminuendo il tasso di matrimoni, aumenta l’età in cui i coreani decidono di mettere l’anello al dito; secondo un resoconto del 2017 di un’agenzia per incontri, la media degli uomini che hanno convolato a nozze si è spostata da 33.4 a 36 anni, basata sui dati raccolti dalla compagnia fra Giugno 2015 e Maggio 2017. Il documento ha, inoltre, mostrato che l’età delle donne è aumentata fino a 33 e la differenza di anni fra lo sposo e la sposa si è alzata di 3.2 anni, con circa il 90% degli uomini più grandi delle donne.
Ma come si svolge un matrimonio in Corea? In questa parte mi distaccherò da mera elencatrice di fatti e vi racconterò la mia esperienza di una cerimonia in Corea, spiegandovi tutti i passaggi e le mie sansazioni in prima persona.
Nel 2017 ho deciso di consolidare il già avvenuto matrimonio in Italia, con uno nel Paese natio di mio marito, dando la possibilità ai suoi parenti e amici di potervi partecipare, non essendo potuti venire alla cerimonia.
Dell’organizzazione se ne è occupata quasi esclusivamente mia suocera, quindi posso descrivere solo ciò che è stato il procedimento di tutto il matrimonio.
Solitamente la cerimonia coreana si divide in due fasi: la celebrazione in cui entrambi gli sposi si adornano con abiti tipici dei matrimoni occidentali e la seconda parte, il rituale chiamato 폐백 pyebaek, fase che tradizionalmente si celebra in 한복 hanbok e a cui partecipano solo i familiari. Essendo stato il nostro matrimonio, una cosa puramente formale e avendo voluto evitare un rituale lungo e stancante, abbiamo optato per la sola cerimonia “occidentalizzata”.
La mattina della celebrazione, io, mia madre e mio marito ci siamo recati al luogo designato, l’MBC Covention Wedding Hall situato a Ulsan, paese natio della famiglia dello sposo, di mattina presto; per il matrimonio che sarebbe cominciato alle 12:30, difatti, siamo dovuti arrivare al posto della cerimonia alle 9.
Giunti nella sala trucco e parrucco del grosso palazzo suddiviso in miliardi di stanze e corridoi, abbiamo consegnato i nostri hanbok personalizzati alle addette, le quali ci hanno consegnato poi delle targhette su cui erano scritti il proprio nome e gli orari di arrivo e di celebrazione.
Io e mia madre siamo state fatte spogliare e adornate di una leggerissima vestaglietta, per poi alloggiare i nostri abiti in un armadietto che ci è stato riservato. La prima fase della preparazione consisteva nel sistemare i capelli con dei bigodini e, dopo ciò, aspettare che le truccatrici ci chiamassero.
Quel breve periodo mi ha dato la possibilità di guardarmi un po’ intorno; in un giorno solo, in quella stanza, si trovavano una decina fra sposi e spose, intenti a essere abbelliti, e mentre le donne erano preoccupate di scegliere l’acconciatura più consona e gli accessori più belli, gli uomini impegnati a sistemare farfallini e capelli. Ho notato in quella sala, nonostante ci fossero tante persone, una certa freddezza e poca eccitazione per l’imminente avvenimento. Essendo io e mia mamma le uniche straniere nella stanza, ci siamo sentite un po’ scrutate e abbiamo visto la paura negli occhi di truccatrici e acconciatrici, immaginando assolutamente impossibile la comunicazione.
La stazione trucco, con quattro sedie e dagli specchi incorniciati da lampadine quasi accecanti, è stato il primo step; il make-up varia di qualche elemento, ma le basi sono praticamente le stesse per tutte le spose, suocere e madri. Quel giorno, per mia gioia e gaudio, mi sono state applicate le ciglia finte per la prima volta in tutta la mia vita di ventottenne. Dopo il trucco, mi sono sistemata nella sedia dell’acconciatrice, la quale, con evidente paura nei suoi occhi, ha tentato di chiedermi che tipo di acconciatura desiderassi, mostrandomi anche delle foto come esempio. Dopo aver spiegato, in coreano, che avendo in mente di indossare solo l’hanbok per tutta la cerimonia, avrei preferito una sistemazione che fosse consona all’abito.
Sistemati i capelli con una lacca a prova di uragano, abbiamo pazientemente atteso il nostro turno, attorniati da numerose coppie e genitori impegnati negli ultimi ritocchi. In queste occasioni anche gli sposi vengono truccati e pettinati a puntino.
Aspettando pazientemente in fila, arriva finalmente il nostro turno di vestizione; mia mamma, da tradizione, venne adornata con i colori pastello di un meraviglioso hanbok che abbiamo noleggiato per l’occasione.
La sposa, tuttavia, può noleggiare l’abito bianco fra gli esemplari appesi nella saletta. Io, avendo optato per una singola cerimonia, ho deciso di indossare l’hanbok per tutta la giornata. Successivamente, dopo essere state aiutate a vestirsi, a me è stato consegnato un bouquet già pronto e abbellito e abbiamo atteso l’arrivo dell’addetta che ci ha scortate fino alla sala del matrimonio.
Prima della cerimonia, la sposa in solitaria viene fatta sedere in una stanzetta chiamata 신부대기실 shinbu daegisil, ovvero la stanza d’aspetto della sposa in cui, insieme al fotografo e due addetti che aiutano gli sposi durante il rito nuziale, essa attende tutti coloro che vogliono salutarla, farle le congratulazioni e farsi fotografare insieme a lei.
Questa parte mi è risultata un po’ strana, poiché per circa una mezz’oretta sono rimasta da sola, con tanti estranei che sbirciavano dalla porta, quasi come fossero stati allo zoo; le foto di rito si sono svolte con le estenuanti indicazioni del fotografo, finchè, quasi all’inizio della cerimonia, nella stanza viene scortato anche lo sposo poiché io non avevo mio padre per accompagnarmi all’altare.
Gli addetti ci hanno aiutato a fare il nostro ingresso, sempre scortati dal fotografo, e il matrimonio ebbe così inizio; entrambi abbiamo dovuto preparare preventivamente, un foglio di voti che abbiamo letto all’inizio, abbiamo entrambi ringraziato i nostri rispettivi genitori con degli inchini e mio suocero e il parroco hanno incorniciato il tutto con delle letture.
Solitamente gli sposi preparano delle esibizioni speciali o gli amici si esibiscono in canzoni o performance 축가 chuk-ga; per noi, un amico di mio marito ha magistralmente eseguito un numero di magia per celebrare la nostra unione.
Alla fine della cerimonia, vengono svolte numerose foto di rito, genitori, familiari, amici, ma quella che mi è rimasta impressa è quella del lancio del bouquet; prima di questo rituale, viene domandato chi sia la prescelta a ricevere I fiori e, nel lancio, il fotografo chiede esplicitamente di mettersi in posa tirando il bouquet senza sforzarsi e sorridendo il più possibile (difatti le mie foto sono state eliminate dall’album perché, probabilmente, ero venuta malissimo). Ricevuti fiori, la persona designata deve mostrare il “bottino” al fotografo mentre il resto degli amici e gli sposi fingono di applaudire animatamente, il tutto senza smettere di sorridere.
Paragonando il servizio di foto che abbiamo svolto in Italia e quello coreano, ho notato una certa finzione nel dover apparire sempre perfetti e poco naturali, sempre in pose plastiche, ma questa forse è una stata solo una mia sensazione.
In ogni caso, terminato il rito, nel palazzo vi è una cucina ampia e una mensa a buffet, in cui tutti gli invitati di tutti i matrimoni si sono potuti rifocillare; i cibi spazziavano dai tipici piatti coreani a qualcosa di fusion, sino ai dolci.
Noi sposi più i nostri familiari stretti, siamo stati sistemati in una stanza a parte, mentre gli altri hanno potuto sistemarsi fra le due ampie sale e gustare bibite e approvigionamenti. Dopo esserci rifocillati, ci è stato gentilmente chiesto di spostarci poiché, come si poteva vedere dagli schermi posizionati in una delle stanze, da lì a poco gli invitati del matrimonio successivo sarebbero arrivati per pranzare.
Personalmente la cerimonia coreana, mi è risultata molto patinata e poco spontanea, nonostante il rito sia stato molto emozionante, tutti i processi per arrivare alle nozze, apparivano quasi come una catena di montaggio per matrimoni; difatti, ogni cerimonia non avrebbe dovuto durare più di un’ora e così neanche il pranzo, ogni matrimonio era incastrato fra un rito e l’altro.
L’acronimo identificativo dei procedimenti che sfociano nelle nozze, ovvero studio, vestito e make-up, è conosciuto come “su-du-mae” ed è la tipica procedura che le coppie preparano per il loro grande giorno, parte del colosso dell’industria dei matrimoni in Corea del Sud, molto spesso criticata per le cerimonie pretenziose ed estravaganti.
Un sondaggio ha mostrato che in Corea un rito costa circa 46 milioni di won (circa 31.500 euro), senza includere il prezzo di un’eventuale nido coniugale, sia affittato che comprato.
Normalmente, molte spose ingaggiano dei wedding planner che si occupano di prenotare i pacchetti “su-du-mae”, composto da servizio fotografico prima del matrimonio, noleggio di abiti e trucco, aventi un prezzo che si aggira intorno al milione e 10 milioni di won (fra i 780 e i 7805 euro) e molte coppie optano per le cossiddette “wedding halls” (di cui vi ho accennato prima n.d.r) come luogo delle nozze. Inoltre, i matrimoni coreani, richiedono lo scambio di regali da parte degli sposi e delle loro famiglie.
Un sempre maggior numero di coreani, tuttavia, si stanno discostando da questi convenzionali abitudini e optano per cerimonie molto più intime e private. Alice Kim, giovane sposa novella, in un’intervista a ‘The Korea Herald’ ha dichiarato che non solo hanno saltato il servizio fotografico, ma non hanno neppure ingaggiato un wedding planner, poiché odia l’industria dei matrimoni, la quale pensa sia piena di procedure non necessarie. “Non desideravo un matrimonio copia di altri” ha affermato “Soprattutto, non volevo sprecare soldi su oggetti riguardanti il matrimonio ma volevo investirli su qualcosa di più utile, come risparmiare per un appartamento”.
Essendo il numero di queste spose che opta per cerimonie più intime, il business specializzato in questi photoshoot e nei vestiti si sta tramutando, orientandosi verso altri settori significativi; per esempio, migliaia di compagnie, che spaziano da quelle che vedono abiti da sposi semi-casual a quelle che offrono di occuparsi delle foto durante la luna di miele, sono state create e stanno attirando numerosi clienti.
Chang Mi-sun, una wedding planner con un’esperienza decennale, ha recentemente avviato una compagnia in modo da incontrare i desideri dei clienti e evitare di offrire solo il metodo convenzionale dei pacchetti ‘su-du-mae’. “Io e molte delle mie spose eravamo molto scettiche dell’industria dei matrimoni locale nella quale il prezzo per affittare un abito ed essere truccate in un salone nell’area di lusso di Gangnam è molto spesso nascosto ai clienti”.
Questo recente trend ha cambiato anche il modo in cui queste coppie scambiano i loro voti; al posto dei wedding hall convenzionali, molti sposi optano per palazzi istituzionali, ristoranti o perfino parchi per, non solo risparmiare denaro, ma avere un matrimonio diverso dalla massa. “Odio l’idea che mezza dozzina di sposi novelli camminano per la navata nello stesso giorno incastrati nei tempi stabiliti” ha dichiarato Kim, aggiungendo che lei ha prenotato un piccolo ristorante per riunire un numero esiguo di intimi invitati. Certi cambiamenti non trovano radici solo nei più giovani, ma anche nelle generazioni più attempate, che si stanno aprendo all pensiero di di un matrimonio non convenzionale, evitando così spese futili e tradizioni che potrebbero essere un peso per i loro figli.
Kim Woo-mi, una sessantenne la cui figlia ha deciso di sposarsi, pensa che sia meglio per gli sposi di eliminare tradizioni come 폐백 pye-baek. “Il matrimonio dovrebbe essere un giorno speciale dedicato alla sposa e allo sposo, non un evento pretenzioso che eventualmente diventerebbe inutile e senza significato” ha accentuato Kim. Ha inoltre dichiarato che, mentre molti cercano la sicurezza della cerimonia convenzionale, altri si distaccano da ciò, facendo crollare le posizioni a lungo sostenute sui matrimoni.
In Corea si sta pian piano, quindi, cercando di scardinare l’idea delle nozze forzate, e sta lentamente cambiando la mentalità con cui si approccia a questi riti, tentando sempre più di non affrettarsi in matrimoni combinati e in spese eccessive. In un paese che si è spostato dal matriarcato ad una figura maschile sempre più potente, un simile cambiamento denota un maggiore desiderio di indipendenza femminile e di voglia di trasformazione da parte del popolo coreano.