Il 3 luglio del 2009 l’attrice Jang Ja Yeon si è suicidata. Nella sua lettera d’addio c’era scritto a chiare lettere il motivo per cui si è tolta la vita: abusi da parte del suo manager e di altre persone.
Il 5 giugno, a quasi nove anni esatti dal suicidio dell’attrice, il Ministero della Giustizia della Corea del Sud ha invitato i pubblici ministeri a riesaminare la morte dell’attrice Jang Ja Yeon. Le indagini sul caso si conclusero velocemente con la motivazione di impossibilità a procedere per mancanza di prove concrete, non mancarono certo critiche per la frettolosità delle indagini. Dopo quasi dieci anni molte cose sono cambiate, il movimento #MeToo si è fortemente battuto per far riaprire il processo.
Una commissione speciale indipendente del Ministero della Giustizia ha riesaminato il caso e i documenti prima che i tempi di prescrizione bloccasse le indagini su uno dei sospetti, un giornalista diventato politico.
Jang Ja Yeon, allora 29enne, ha avuto un ruolo secondario nel drama “Boys Over Flowers”. Nella sua leggera d’addio, lunga sette pagine, elencava almeno 31 nomi di dirigenti aziendali, importanti rappresentanti di giornali e registi con cui sosteneva di essere stata costretta a fare sesso contro la sua volontà, suddette persone venivano identificate come “sponsor”, figure che aiutano attori e idol ad ottenere ruoli in programmi TV, drama e film.
Durante il primo processo, nove anni fa, l’accusa ha incriminato solo l’amministratore delegato dell’agenzia e il manager di Jang Ja Yeon, senza detenzione, per le accuse di violenza e diffamazione. Ci sono state indagini su altre dieci persone sulla lista, ma nonostante le indagini non sono stati iscritti nella lista degli indagati.