Per chi frequenta la Corea, si sarà accorto che nella stazione di Apgujeon i manifesti che pubblicizzano procedure chirurgiche riempiono quasi la totalità delle pareti; Seoul Metro ha dichiarato che, entro il 2022, nelle stazioni metropolitane della capitale coreana, spariranno i manifesti che promuovono cliniche di chirurgia plastica. Questo piano è stato valutato a seguito delle proteste depositate dal pubblico riguardanti le pubblicità situate nelle linee 1, 2, 3 e 4, pubblico che ha notato che il 91% di queste sono legate alla chirurgia o alle donne. Seoul Metro ha come obiettivo ultimo di eliminare questi manifesti in quaranta stazioni entro il 2022, mentre in quelle di City Hall, Sinseol-dong, Seongsu, Yangcheon-gu Office, Gyeongbokgung, Anguk, Euljiro 3-ga, Sinjeong e Gimpo Airport le pubblicità saranno tolte in questo anno, sostituendo questi spazi con inserzioni collegate all’arte e alla cultura.
Nel 2014 in Corea sono state svolte più di 980 mila operazioni pro capite, circa venti procedure per mille persone, rendendola, così, la capitale mondiale della chirurgia estetica. Ma non solo; più di 200 mila pazienti nel 2016 sono venuti dall’estero per subire un intervento, nonostante il numero sia stato molto influenzato dallo spiegamento del THAAD (sistema antimissilistico) statunitense.
La città lavora insieme a istituzioni mediche locali per attrarre pazienti stranieri fornendo servizi come pickup all’aeroporto, traduttori e un numero al pubblico che dona informazioni sulle prestazioni mediche in inglese, cinese e giapponese; le nazionalità con più utenti, difatti, sono cinese, americana, giapponese, russa e kazaka.
Il distretto di Gangnam, secondo dati del 2015 del National Tax Service, ha la maggioranza di cliniche dedicate a procedure chirurgiche con circa 78 mila pazienti; Gangnam, reso famoso grazie alla celebre hit di Psy, è conosciuto in tutta la Corea come il quartiere ricco di Seoul e possiede addirittura un gomitolo di strade (lungo circa 2 km e mezzo) denominato “The Improvement Quarter” (quartiere del miglioramento).
Difatti, girando per le strade, è possibile vedere persone che, senza alcuna vergogna, sfoggiano bendaggi e/o mascherine per coprire le cicatrici ancora fresche; le donne che si sottopongono a numerose procedure invasive hanno anche un nomignolo, ovvero “Gangnam girls”, a indicare la quantità eccessiva di visibili interventi che tendono a sconvolgere i connotati e rendono le persone uguali.
Nel 2013, nel presentare le concorrenti dell’edizione di Miss Daegu, grazie all’articolo di un giornale on-line giapponese, il pubblico coreano e mondiale notò delle inconfutabili somiglianze tra le concorrenti; tuttavia, il sito di videogiochi Kotaku, mostrando le foto delle ragazze senza e con trucco, concluse che il problema principale non fosse tanto la chirurgia plastica, poiché le differenze evidenziate contraddicevano le affinità, quanto l’uso eccessivo di strumenti di ritocco delle foto.
Tuttavia, un tratto simile probabilmente è possibile trovarlo, siccome, secondo lo ‘International Society Aesthetic Plastic Surgery’ (società internazionale di chirurgia plastica estetica), la pratica più comune e richiesta è la blefaroplastica o correzione delle palpebre; questa operazione serve a donare alle persone il tipico occhio occidentale che possiede una doppia palpebra e per far apparire lo sguardo più grande. Tuttavia, questa pratica non è immune alle critiche, poiché molti accusano il fatto che, in questo modo, coloro che si sottopongono a codesti trattamenti, i loro tratti si discosterebbero troppo da quelli asiatici; secondo loro sarebbe un simbolo dell’egemonia culturale dei bianchi americani sulla penisola coreana.
Tutto risale ai tempi del pioniere di chirurgia plastica Dott. Ralph Millard, stazionato in Corea dal 1950 al 1953, che si occupava di chirurgia ricostruttiva per i feriti di guerra e fu riconosciuto come la prima persona a sviluppare e compiere questo tipo di intervento nella penisola. Nell’edizione del 1964 dell’ ‘American Journal of Ophthalmology’ (giornale americano di oftalmologia) Millard scrisse che “l’assenza di palpebre produce un’espressione passiva che sembra enfatizzare la stoica e imperturbabile maniera degli orientali”; nel giornale stillò che ebbe la prima opportunità di provare codesta operazione quanto “un’interprete coreano dagli occhi a mandorla, che parlava un eccellente inglese, arrivò richiedendo che lo sguardo le venisse trasformato in un occhio rotondo”.
Molti dei suoi pazienti furono donne coreane che lavoravano nel commercio sessuale che desideravano ricevere tale pratica per incrementare l’attrattiva verso i gruppi di intervento speciale americane, altri invece le cosiddette ‘mogli di guerra’ (donne coreane sposate con soldati americani e trasferitesi in USA) che volevano adattarsi di più alla loro nuova casa. Storici e critici culturali dichiarano che questi furono alcuni dei fattori che hanno contribuito alla prevalenza della correzione delle palpebre.
Nel ‘Asian American: Historical Crossings of a Racial Frontier’ (asiatico americano: incrocio storico di una frontiera razziale), l’accademico di letteratura comparata di Stanford David Palumbo-Liu discute che la tendenza della doppia palpebra cominciò dopo la Seconda Guerra Mondiale, poiché le donne coreane e giapponesi optarono per tale pratica cosicché potessero mescolarsi meglio con gli occidentali, riflettendo così la dominanza americana, in particolare quella bianca.
Tutto ciò, a quanto pare, ha toccato anche l’USA: in uno studio condotto su donne asioamericane nell’area di San Francisco che hanno ricevuto chirurgia plastica, l’etnografa Eugenia Kaw scoprì che pazienti sottopostisi a procedure lo fanno per “sfuggire al persistente pregiudizio raziale che è correlato agli stereotipati tratti fisici genetici (occhi piccoli e a mandorla e naso a patata) con caratteristiche comportamentali negative, come passività, apatia e misantropia”.
Oggi, in Corea, la chirurgia estetica sembra essere meno razzista; Na Minhwa, dottoressa con sede a Seoul che ha praticato blefaroplastica per 15 anni, dichiara al ‘The Korea Herald’ che i suoi clienti non cercano di sembrare meno asiatici. “Mi capita di ricevere lamentele se dopo la procedura al paziente coreano viene una piega simile a quella di una persona caucasica. Ciò che le persone desiderano è una linea naturale che si adatti ai visi orientali. Il concetto è che coloro che se si pensa si sottopongono a tali operazioni lo facciano per sembrare bianchi (occidentali), è davvero assurdo”.
D’altro canto, i sostenitori dichiarano che senza la doppia palpebra i coreani, molto spesso, sembrano stanchi, assonnati e arrabbiati quando non ridono; “le donne lo fanno per avere un aspetto più affascinante e ben definito” dichiara Choi Hang-seok, direttore della clinica JK Plastic Surgery, e il 20% dei suoi pazienti maschi “vogliono un po’ di fascino anche loro” per cui optano per una correzione delle palpebre. Choi afferma che è una delle operazioni più economiche (fra gli 824€ e i 2472€) ed è molto meno invasiva di altre opzioni, con una repentina guarigione.
La blefaroplastica, comunemente, è considerata l’intervento che i genitori donano come regalo ai figli per congratularsi della fine del liceo e dell’ingresso all’università. Difatti, in Corea, una bella faccia è considerata al pari di un’arma in modo da riuscire ad aggiudicarsi un posto di lavoro o per progredire nella carriera.
In molti paesi, una discriminazione plateale basata sull’aspetto fisico è vietato o, per lo meno, scoraggiato in numerose nazioni; non è il caso della Corea in cui il pregiudizio nei confronti di persone poco attraenti (외모지상주의 ‘eomojisang-juui’, ‘lookism’ in inglese) è una pratica molto comune nei luoghi di lavoro.
Nell’estate del 2017, l’Assemblea Nazionale ha promosso una proposta di legge per multare i datori che domandano fotografie o chiedono informazioni riguardo aspetto fisico, luogo di nascita, stato coniugale o educazione dei componenti familiari. “Attaccare una foto al curriculum istiga discriminazioni e conduce a oneri monetari per i candidati” ha dichiarato Han Jeong-ae, membro dell’assemblea; tuttavia tale progetto di legge è in stallo a causa dell’opposizione di un importante gruppo commerciale, Korea Employers Federation, il quale discute del fatto che l’apparenza è fondamentale nell’ambito lavorativo.
Il presidente Moon Jae-in, però, vuole correggere questa pratica, annunciando che progetta di applicare il ‘blind hiring’ (assunzione al buio) nel settore pubblico entro la fine di questo anno.
Uno dei requisiti più richiesti per i candidati è di procurare delle fotografie; secondo un sondaggio del portale online Saramin condotto su 760 compagnie, circa il 93% di essere esigono istantanee nelle applicazioni, mentre circa il 34% di 312 manager di risorse umani dichiarano che hanno dato lavoro a persone basandosi esclusivamente sul loro aspetto anche se la loro formazione non era risultata idonea per quell’impiego e all’incirca il 50% afferma di aver rifiutato un candidato a causa della loro apparenza.
Secondo il chirurgo estetico Dott. Cho Soo-young, gli standard della bellezza coreana si sono sempre più “occidentalizzati” e che molte delle sue pazienti cercano il look da Barbie, anche se non è molto realistico sulle donne asiatiche; “nella società coreana la competizione è tanto severa, se possiedo una faccia poco attraente e appaiono vecchi, perderebbero sicuramente contro gli altri candidati”dichiara il chirurgo “per cui al fine di battere la concorrenza, hanno bisogno di cambiare i loro lineamenti e il loro corpo”.
In Corea sono comuni i programmi televisivi con tema chirurgia plastica, uno fra tutti ‘Let Me In’, programma con i più alti ascolti: ogni personaggio presenta il proprio caso davanti a un gruppo di esperti dichiarando che, a causa del loro problema fisico, è impossibile portare avanti una normale vita sociale, per cui un totale miglioramento tramite delle operazioni è necessario. Lo show mostra prima della procedura e la trasformazione di persone ordinarie così come quelle che soffrono di deformità.
Tuttavia, non tutti possono ricevere questi interventi: difatti, un pannello di dottori giudica fra i “concorrenti” quale operazione sia la più fattibile e, dopo averne discusso, scelgono la persona più adatta a questo percorso, il programma è stato proposto in una versione rivisitata anche in Italia col titolo “Selfie – Le Cose Cambiano” condotto da Simona Ventura.
Tutta questa crescita d’interesse verso la chirurgia plastica, ha fatto sì che ci fosse un progetto di aprire una clinica di 240 metri quadri all’interno dell’aeroporto di Incheon; questa idea, però, non è attuabile poiché nessun medico si è presentato dopo l’annuncio. Secondo il rappresentante del Partito Democratico di Corea, Kang Hoo-sik, “i gestori dell’aeroporto, accecati dalla voglia di profitti, hanno trascurato importanti dettagli medici, devono rivalutare il progetto dall’inizio”.
Seconda la direzione, il piano era finalizzato ad attrarre sempre più stranieri nel paese, visto che la Corea è diventata una metà turistica sanitaria; in questo modo, passeggeri in transito, potevano ricevere quelle operazioni così popolari mentre cambiano aerei a Incheon.
Tuttavia, l’Associazione Coreana dei Chirurghi Plastici ha inviato una richiesta ufficiale a riconsiderare il programma, poiché dichiarano che in questo progetto manca la comprensione delle terapie mediche e potrebbe sfociare in problemi legali. “Cosa succederebbe se un paziente non potesse salire sull’aereo a causa di inaspettati problemi clinici che potrebbero scaturire dopo un’operazione o un trattamento?” dichiara l’Associazione “anche una semplicissima procedura come una correzione di palpebre potrebbe risentire del cambiamento di pressione ed effetti collaterali potrebbero verificarsi se il sistema immunitario si abbassasse per la fatica di un lungo viaggio.”
La Società Coreana di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva ha ribadito l’opinione, affermando che il progetto potrebbe non essere così lucrativo anche se venisse realizzato. “Uno deve riconsiderare la possibilità che ricevere cure mediche e trattamenti sia un mezzo per incrementare il numero di utilizzatori dell’aeroporto.”
Tutto questo turismo sanitario, tuttavia, ha delle pecche, poiché gli stranieri si vedono spesso applicare prezzi maggiorati rispetto ai locali per gli interventi; basandosi su un articolo di ‘Ilyo Shinmun’, 4 su 10 cliniche in Gangnam, selezionate casualmente, hanno fatto pagare ai forestieri almeno il doppio dei coreani. Per esempio, per un aumento del seno, messi a confronto due importanti luoghi di cura, uno ha dichiarato di aver imposto un prezzo di 6.6 milioni di won (indicativamente 5035€) ai pazienti locali e 12 milioni di won (circa 9155€) alla controparte straniera, mentre un’altra clinica, 10 milioni (approssimativamente 7629€) a favore dei coreani e 17 milioni di won (più o meno 12969) ai forestieri. Questo aumento di prezzo è stato attribuito all’integrazione di servizi dedicati esclusivamente ai pazienti di altre nazioni, come l’assistenza di un traduttore.
Secondo funzionari delle cliniche, gli stranieri che visitano la Corea per subire pratiche chirurgiche, hanno richieste urgenti dato il fatto che hanno un tempo limitato da passare in suolo orientale; siccome i controlli periodici postoperatori sono difficili dopo che i pazienti ritornano nella loro madrepatria, hanno dato loro la possibilità di usufruire di assistenza aggiuntiva, quali cure speciali per le cicatrici subito dopo l’intervento, dichiarando, inoltre, che i forestieri hanno anche la priorità di poter pianificare la date dell’operazione.
Tuttavia, non è possibile rinunciare a tali servizi: quando a un funzionario è stato chiesto se un paziente potesse portare con sé un traduttore personale e pagare così di meno, ha rifiutato l’idea e ha affermato che il servizio di traduzione offerto è obbligatorio. L’avvocato Jang Jung-sook del Comitato dell’Educazione, Cultura, Sport e Turismo dell’Assemblea Nazionale, ha spiegato che, per quanto sia diventata popolare, la chirurgia estetica ha dato origine a tanti problemi e che dovrebbero essere messe a punto misure politiche.
Queste procedure, però, hanno anche un altro lato della medaglia: secondo il giornale ‘Chengdu Business Daily’, una passeggera di nome Zhang, viaggiando da Chengdu a Shangai, è stata fermata ai controlli aeroportuali dopo che le è stato reso noto che il sistema di riconoscimento facciale non è riuscito a identificare il suo viso. La ragazza ha tentato, invano, di spiegare agli agenti che aveva subito degli interventi chirurgici, ma l’aeroporto non ha accettato la sua giustificazione ed è stata dirottata verso la stazione di polizia dove avrebbe potuto verificare la sua identità.
Non è dato sapere se la notizia sia vera oppure inventata, tuttavia la pubblica sicurezza suggerisce vivamente a coloro che si sono sottoposti a operazioni o hanno intenzione di farlo, di aggiornare i loro documenti di identificazione, soprattutto se il loro aspetto ha subito una trasformazione radicale.
Un drastico cambiamento di connotati può soddisfare molti, specialmente coloro con problemi fisici, ma ci sono anche casi in cui il risultato di un’operazione si rivela essere molto distante dall’immagine che uno si è sognato. Un esempio è ‘Back to My Face’, il programma concorrente di ‘Let Me In’, che documenta persone che vorrebbero sottoporsi a procedure in modo di ritornare alla loro “vecchia” faccia: la trasmissione si presenta come un vero e proprio ‘reality makeover show’ che si concentra più sull’aspetto terapeutico.
Durante una sessione di terapia, i partecipanti disegnano immagini di loro stessi, mentre, in un altro segmento, una persona è scesa direttamente in strada chiedendo ai passanti cosa ne pensassero delle sue foto prima dell’operazione; il concorrente decide, quindi, se desiderano avere una chirurgia ricostruttiva per rimuovere impianti o altri lavori che hanno subito.
Il senso di ‘Back to My Face’ sembrerebbe essere quello di trovare la felicità nel proprio aspetto, accettando i pregi e difetti fisici, nonostante il continuo bombardamento mediatico a cui sono sottoposti i coreani. Sono molte, difatti, le celebrità che non hanno nascosto di essersi concessi un ritocchino. Un esempio si può trovare nel gruppo semi-sconosciuto ‘Six Bomb’, le quali hanno addirittura documentato il loro percorso chirurgico con due singoli intitolati ‘Becoming Prettier’, uno sottotitolato ‘Before’ e l’altro ‘After’; assieme ai video musicali in cui, prima, le quattro ragazze visitano una clinica estetica e, successivamente, appaiono con le facce coperte da alcune bende, il gruppo ha dichiarato in un’intervista con ‘Star News’, di aver investito circa 100 milioni di won (circa 76.328€) per sottoporti a operazioni. Hanno, inoltre, affermato che l’idea originale è partita da loro e hanno anche espresso il desiderio di incorporarlo nei video e nella loro musica.
Un altro gruppo che non si è mai vergognato nell’asserire di essersi rivolte all’aiuto del chirurgo plastico, è quello delle ‘Brown Eyed Girls’, tre membri del gruppo (JeA, Miryo e Narsha), partecipando a un episodio di SNL Korea nel 2012, hanno fatto un video parodia del successo di Lady Gaga ‘Poker Face’, trasformandolo in ‘Plastic Face’: il testo della canzone serve come monito verso le persone che si vergognano di ammettere di aver subito interventi, ma invita a mostrarsi sicuri e “sopportare” lo stigma che si ha ancora verso la chirurgia.
Difatti, non molti in Corea sono inclini ad accettare procedure troppo invasive; non poco tempo fa, un uomo ha anonimamente postato una storia sul suo matrimonio, causando parecchio fermento. Nel post, lui racconta come la sua posizione verso i ritocchi sia assolutamente negativa e come, all’inizio della loro relazione, ne avesse discusso anche con la fidanzata. Nello stesso anno in cui si sono conosciuti, si sono sposati e, dopo sei mesi, una persona che sosteneva di essere un’amica della consorte gli ha spedito le foto del periodo del liceo della moglie, dichiarando che la donna si fosse rivolta a un medico per sistemare naso, occhi e contorno del viso.
L’uomo ha confessato di essere rimasto sotto shock, poiché quando pensa alla chirurgia si immagina il tipico viso delle ragazze di Gangnam. Afferma, inoltre, di non averne ancora parlato con la moglie, lo farà al più presto, ma era curioso di sapere dagli utenti della rete se mentire su una questione del genere, possa essere un motivo per richiedere il divorzio.
Non è semplice trovare una posizione; se, da una parte, si può apprezzare il tentativo, tramite una pratica come la chirurgia estetica, di voler rendere le persone sempre più sicure di sé ed essere convinte del loro aspetto, dall’altra ci si chiede se questo omologarsi e questo continuo bombardamento della ricerca della perfezione verso i più giovani, siano come un veleno che, pian piano, sta intaccando le fondamenta della società coreana, rendendoli, prima o poi, un popolo privo di autenticità.
Complimenti: articolo davvero esaustivo e blog (in generale) interessante e ben fatto. Felice di averti trovata e grazie per i tuoi articoli.
Grazie mille a nome di tutto lo staff 🙂 <3