Nam Dong Chul è un nome familiare per chi bazzica da tempo al Busan International Film Festival e per tutti quelli che si interessano di cinema coreano. Stiamo parlando del Korean Cinema programmer del BIFF che ci ha concesso gentilmente di parlare faccia a faccia e di scoprire alcuni retroscena sia del festival che dell’industria cinematografica coreana. L’intervista è del 18 ottobre (2017).
– Iniziamo con una domanda semplice. Com’è ricaduta la scelta del film d’apertura (Glass Garden di Shin Suwon)?
Per tutto un anno ho cercato di trovare un buon film che sarebbe potuto andare bene. Ci sono alcuni criteri da tener conto per prendere questa decisione. Il film d’apertura deve essere alla sua World premiere o International premiere e soprattutto deve essere un film asiatico. Io sono il programmer per la sezione dedicata ai film coreani, e con il mio collega in carica dei film asiatici e il direttore del festival, ci siamo messi alla ricerca del film d’apertura, abbiamo visto svariati film, ne abbiamo discusso e poi abbiamo deciso.
È stata una decisione facile, all’unanimità?
Non è stato difficile. Avevamo 5 o 6 candidature per l’edizione di quest’anno. Abbiamo visto Glass Garden ed è piaciuto a tutti. C’è stato anche un altro film candidato che ci ha colpito molto, il cinese/taiwanese Love Education (Sylvia Chang, 2017), che è poi diventato il film di chiusura. Abbiamo discusso quindi dei film da proporre per la cerimonia d’apertura e per quella di chiusura e abbiamo deciso che il film d’apertura sarebbe stato coreano, mentre quello di chiusura cinese/taiwanese.
“I festival sono il centro e il punto di ritrovo dei fan del cinema coreano”
– Visto che da alcuni anni collaboriamo attivamente col Florence Korea Film Fest, quanto crede siano importanti i festival internazionali interamente dedicati al cinema coreano? Basti pensare al London Korea Film Festival, al Korean Film Fest in Australia e appunto il Florence Korea Film Fest
Prima di tutto, non è facile vedere film coreani, giapponesi, cinesi ecc. in Europa, quindi penso che i festival internazionali dedicati al cinema coreano sono molto utili nel promuoverlo, farlo conoscerlo direttamente al mondo. Per fortuna, ne abbiamo in Italia (Florence Korea Film Fest), in Gran Bretagna e in altri Paesi, sono stato ad alcuni però, purtroppo, non sono così famosi. I film coreani non sono i blockbuster americani, gli spettatori stranieri non gli conoscono, solo pochi ne sono veramente appassionati. Ma, grazie a questi fan che parlano volontariamente dei nostri film, il cinema coreano viene promosso. Li considero come una specie di diplomatici civili, le persone che non conoscono il cinema coreano, possono scoprirlo grazie a loro. I festival, quindi, sono il centro e il punto di ritrovo di questi fan.
-Sono molti i film coreani presenti anche quest’anno, quale pensa possa funzionare anche all’estero? E quale si sente di consigliare ai nostri lettori?
Al BIFF, ci sono film commerciali, quelli a grande budget, così come ci sono film indipendenti e a budget ridotto. Per la prima categoria, non posso non suggerire un film come Taxi Driver, ha un gran successo al box office; all’estero ci sono state delle situazioni politiche o tragedie simili a quelle che sono avvenute in Corea, questo tipo di tragedie può avvenire ovunque. Queste tragedie sono temi universali. Un esempio ne è Okja. Dall’altra parte, poi, abbiamo i film indipendenti. A questa edizione del BIFF ce ne sono tre nella sezione New Current, After My Death, Last Child, How to Breath Under Water. Trattano, tutti quanti, di drammi molto seri, sono dei film artistici e li posso raccomandare tutti e tre.
“Park Chan Wook, Kim Ki Duk e Bong Joon Ho hanno partecipato ai festival internazionali, anche se il cinema coreano non è molto conosciuto, grazie a loro qualcosa qualcosa si è mosso”
-Come vede i film asiatici, in particolare quelli coreani, nel mercato internazionale?
I film coreani sono praticamente sconosciuti agli occidentali. Alcuni registi famosi hanno fatto la loro comparsa in festival internazionali già alla fine degli anni ’90. Park Chan-Wook, Kim Ki-Duk, Bong Joon-Ho, per citarne alcuni e sono registi che fanno parte della Korean New Wave. Old Boy ha vinto a Cannes e dopo di questo film la curiosità a spinto a conoscere di più il cinema coreano. Lo stesso è successo anche per i film di Kim Ki-Duk. Gli occidentali si sono interessati al cinema coreano, il che significa che hanno visto film coreani, e in qualche modo anche a ciò che sta succedendo nella società coreana. Oggigiorno, oltre a questi famosi registi, ci sono pure nuovi talenti che emergono dalla scena indipendente, anche se ne sono una piccola parte. Un po’ come quando si va a un negozio di DVD [all’estero], si troveranno centinaia di film americani, mentre nella sezione internazionale, in passato, non c’erano titoli coreani, al contrario di adesso che ce ne sono alcuni, anche se pochi.
– Che cosa ne pensa quindi dei remake di film coreani? Un esempio che mi viene subito alla mente è Old Boy di Spike Lee (2013).
Riguardo ai remake, non mi aspettavo dei buoni risultati, considerando l’originale. Questo [il remake] è un buon segno per noi, ma, a volte, il remake può essere meglio dell’originale. Spero, tuttavia, che accadrà prima o poi anche se fino ad ora nessun film-remake da film coreani è stato un successo. Chi lo sa, magari in futuro.
-I film coreani indipendenti potranno avere un futuro luminoso? Alcuni film selezionati per il BIFF sono molto interessanti.
In Corea il mercato è ora diviso in due grandi fasce: quella dei film ad alto budget, il cui budget sta crescendo sempre di più, e quella indipendente, il cui budget sta diminuendo di volta in volta. Cinque/dieci anni fa c’era anche la fascia dei film a budget medio, che però possiamo dire che è scomparsa, dato che i film prodotti con un budget medio sono solo due o tre. Lo considero un problema molto grave. In un anno di solito abbiamo più di 300 film indipendenti; solo 100 però possono essere mostrati al pubblico. Il motivo? Perché le sale cinematografiche non vogliono mostrarli dato che corrispondono a un rischio. I festival come il BIFF sono importanti per i registi di film indipendenti, perché non hanno molte opportunità per promuovere i loro lavori, e solo pochi possono essere mostrati al cinema, ai festival o persino distribuiti. Vogliono una possibilità di mostrare le loro opere e il festival rappresenta per loro una grande opportunità. La nostra missione è di cercare di mostrare film indipendenti coreani e di promuoverli.
“La percezione e la prospettiva della donna sono diverse nel mondo”
-Qual è la tendenza nei film coreani quest’anno presenti al BIFF 2017? Una tendenza che può essere vista nella realizzazione, nei personaggi, temi…
Quest’anno ci sono molti film che parlano di donne. Nei film mainstream commerciali, il ruolo principale è generalmente riservato agli uomini ma al BIFF abbiamo molti film che si concentrano sulle donne. I personaggi femminili sono affascinanti e sono importanti nei film indipendenti. Possiamo dire che ci siano un’evidente tendenza: da un lato abbiamo i film mainstream in cui c’è una prevalenza maschile; dall’altro abbiamo i film indipendenti dominati dalla figura della donna. La percezione e la prospettiva della donna sono diverse nel mondo. Quest’anno abbiamo, nei film presenti al festival, molti personaggi femminili affascinanti.
Ho notato che a questa edizione ci sono anche molti film con personaggi LGBT.
Sì, come il film Black Summer o Method, entrambi nella New Currents Section. Abbiamo due film forti con tematiche LGBT ed è una cosa buona perché possiamo vedere tutta la varietà del mondo attraverso questi film. Una metà è sulle donne, una porzione LGBT. La nostra selezione riflette la realtà. E i film LGBT devo essere presenti.
– L’ospite speciale della Korean Cinema Retrospective (retrospettiva del cinema coreano) è l’attore Shin Seong-Il, che possiamo anche definirlo come il Mastroianni coreano. Quali sono le motivazioni dietro alla sua scelta e perché avete deciso di farla proprio quest’anno?
Abbiamo iniziato le retrospettive per scoprire la storia del cinema coreano. Gli anni ’60 sono stati l’era d’oro per il nostro cinema, con registi come Kim Ki-Yeong, Shin Sang-Ok e molti altri, a cui abbiamo già dedicato retrospettive uno ad uno. Poi abbiamo avuto registi che hanno influenzato il cinema moderno coreano come Im Kwon-Taek o Lee Doo-Yong, che ha fatto il suo primo lungometraggio negli anni ’60. Dopo di loro, ci sono i registi degli anni ’70. Ma, prima di questa decade, abbiamo guardato ancora indietro, cercando chi, negli anni ’60, avesse contribuito a fare la storia. Così, a parte i registi, abbiamo pensato agli attori, e chi se non l’attore, con la A maiuscola, Shin Seong-Il poteva ricoprire questo ruolo? Se avessimo voluto fare una retrospettiva sugli anni ‘70 allora allora prima avremmo dovuto farne una su Shin Seong-Il.
-Il BIFF negli ultimi anni ha avuto alcuni problemi, ma proprio alcuni giorni fa il Presidente Moon ha detto che farà in modo che il governo non interferisca più nelle decisioni del festival. Come vede, quindi, il futuro del BIFF?
Sentiamo che abbiamo più libertà. Siamo orgogliosi perché siamo riusciti a far continuare il festival, a dispetto di quello che è successo o dalle pressioni subite. Il nuovo governo ha manifestato una politica di non intervento, perciò abbiamo una nuova speranza: che tutto andrà per il meglio.