“Famiglia. Tradizione e Moda. In Vietnam, il Diavolo veste Ao Dai”
1969.
Pois, Woodstock, Beatles, l’invenzione della mini gonna, Rolling Stones, rivolte studentesche, abbinamenti di colori eccentrici e Sài Gòn (l’attuale città di Hồ Chí Minh), Vietnam. Nuh Y è la figlia capricciosa di una famosa sarta di Ao Dai, l’abito tradizionale vietnamita. Come la madre anche lei si occupa di creare vestiti ma d’impronta occidentale, ostentando una notevole riluttanza nel voler imparare la difficile arte della creazione dell’Ao Dai. La sua vita senza pensieri però viene improvvisamente interrotta, più precisamente, portata in avanti di ben 48 anni, ritrovandosi spaesata in un futuro 2017 e facendo la conoscenza della sé stessa adulta, una donna sola, grassa, alcolizzata che sta perdendo tutto. L’intreccio tra passato, presente e futuro, è come il filo che serve per realizzare l’Ao Dai, elemento chiave nella vita di Nuh Y.
Con leggerezza e semplicità nel racconto, i registi Tran e Nguyen riescono a rendere temi seri come le tradizioni e le relazioni famigliari divertenti e facili da comprendere, facendo appassionare chiunque al mondo della moda –tradizionale- del Vietnam, complici gli stupendi costumi indossati dalle attrici e presentati sullo schermo.
Il film è stato presentato in anteprima mondiale a questa edizione del Busan International Film Festival mentre il pubblico vietnamita potrà goderselo il 10 novembre, più tardi per gli spettatori negli Stati Uniti, l’Italia, e in questo caso tutta l’Europa, rimarrà a bocca asciutta.
Noi abbiamo incontrato i registi del film, ecco l’intervista esclusiva.
1) Siamo un sito di sole donne e abbiamo come guida la figura della donna nel mondo del cinema.
Potreste parlare della figura della donna nel cinema vietnamita? Per Kay NGUYEN, cosa si prova ad essere una regista donna in un settore prettamente maschile, quale è l’industria cinematografica?
Penso di essere molto fortunata ad essere in Vietnam, perché ho lavorato anche all’estero e anche in Paesi come gli Stati Uniti e il Giappone l’uguaglianza di genere non è così forte. Ma in Vietnam, a causa degli innumerevoli anni di guerra, il ruolo della donna è più forte. E anche volgendo lo sguardo al clima politico, uomini e donne sono quasi uguali. Posso affermare che sono proprio fortunata ad essere in Vietnam e anche grazie ai miei produttori, lui (TRAN Buu Loc) è il mio co-regista, ma anche il produttore del film, e Thanh Van NGO, protagonista del film e famosa attrice, perché penso che il loro studio sia molto a favore delle donne e alla rappresentanza femminile nel settore. Per me, la produzione di un film è un processo di collaborazione, ognuno svolge un ruolo importante nel film. Infine, sono fortunata anche perché non sento la pressione di essere donna, non la sento affatto.
2) Per quanto riguarda invece TRAN Buu Loc, com’è essere un regista maschio che ha diretto un film che parla esclusivamente di donne e i pochi uomini che ci sono, sono ritratti come gay, quindi uomini che non incarnano lo stereotipo della virilità così come viene vista dalla società?
Perché ho la co-regista qui con me, effettivamente, sul set ha preso il controllo della parte recitativa, prima di girare facciamo sempre workshop, facciamo prove con loro, faccio un sacco di briefing con gli attori riguardo ai loro ruoli, parliamo dello script per ogni personaggio. E in questo modo abbiamo una buona preparazione. Naturalmente è molto difficile per me dirigere e trasmettere le emozioni e le sensazioni di una donna o di una persona gay perché non lo sono. Ma ho ricevuto molto aiuto dalla mia crew e soprattutto dalle attrici e dagli attori. Erano molto responsabili circa i loro ruoli. Quindi è molto utile per me quando parlo con loro e chiedo loro di fare alcune cose.
“La buona educazione familiare ci rende cittatini migliori”
3) Attraverso la giovane e capricciosa Nuh Y siamo stati in grado di scoprire le bellezze di una parte della tradizione vietnamita, quella che riguarda l’Ao Dai, ma anche riscoprire e confermare l’importanza di una conversazione con il passato, e soprattutto con i genitori. Inizialmente, la giovane è riluttante nei confronti della volontà di sua madre per poi scoprire che era sbagliato il modo in cui si stava comportando, arrivando a capire quanto sia importante il rapporto con lei, sempre attraverso l’Ao Dai. In che modo ritenete che il legame con la famiglia sia cruciale per la crescita personale? Quanto possono le tradizioni famigliari influenzare la vita dei giovani? Quanto è importante la tradizione in Vietnam? Infine, noi, come italiani, stiamo vivendo un allontanamento dai valori tradizionali, sta succedendo anche in Vietnam lo stesso?
NGUYEN: Prima di tutto, credo che il fatto di essere così legati alla famiglia sia una cosa asiatica, in primo luogo cresciamo nella nostra famiglia e poi entriamo nella società. Così, in qualsiasi Paese (asiatico), come in Giappone, Corea, Tailandia, Hong Kong, è tutto basato sulla famiglia. Devi agire in modo tale da non mettere in cattiva luce i tuoi genitori, non devi deluderli, devi rispettarli, devi ascoltarli e fare quello che ti dicono di fare, a un certo livello. Noi abbiamo deciso di parlare di famiglia, di tradizione familiare e dei valori della famiglia, tutti elementi che sono ancora costanti nella cultura asiatica. Per noi, inoltre, i valori famigliari sono la cosa più importante da onorare. Per me la famiglia è un elemento cruciale per la crescita personale, perché ogni famiglia ha la propria cultura, cresciamo e se veniamo ben educati possiamo diventare buoni cittadini.
SILVIA: Quindi posso dire che le tradizioni sono ancora un aspetto forte e fondamentale della cultura asiatica e, in questo caso, della cultura vietnamita.
NGUYEN: Ma è vero che proprio ora, e credo che in tutto il mondo sia lo stesso, insieme alla globalizzazione, le persone crescono più indipendenti, più individuali. Soprattutto con il dominio della cultura occidentale, in cui l’individuo è celebrato, e nel mio Paese grazie all’arrivo di internet, la gente può avere accesso ai media e consumare video e così via, con la conseguenza che le persone stanno iniziando a formare una filosofia più individuale. Tuttavia, allo stesso tempo, ritengo che la tradizione sia ancora forte e che governa molti aspetti importanti. Dicono che, quando sei a Roma, fai quello che fanno i Romani. Così le giovani generazioni sì, sono ribelli e si allontano dalla tradizione ma fortunatamente penso che in questo momento la tradizione sia ancora molto sentita.
4) Sono ancora oggi usati i vestiti tradizionali (Ao Dai)? Inoltre, i giovani vietnamiti indossano spesso l’Ao Dai? Per strada o solo in occasioni speciali?
NGUYEN: Credo che lo indossino e molto spesso. Se fai attenzione, l’Ao Dai, per com’è, non è così complicato come l’Hanbok (abito tradizionale coreano) o il Kimono (abito tradizionale giapponese). Non è così difficile da indossare.
SILVIA: È bello e sembra davvero comodo.
NGUYEN: E anche nelle scuole superiori, le studentesse indossano l’Ao Dai ogni giorno per andare a scuola. Circa il 100% delle studentesse delle scuole superiori lo indossavano, ma ora credo lo usino un po’ in meno, penso che sia intorno al 60/70% delle studentesse.
Silvia- Così non ci sono uniformi?
NGUYEN: No, hanno uniformi. E l’uniforme per le scuole pubbliche è ancora l’Ao Dai.
TRAN: I ragazzi invece indossano pantaloni e camicia bianca.
Silvia. Credo che indossare l’Ao Dai sia una buona scelta, perché riesce a integrando la tradizione nella vita di ogni giorno.
NGUYEN: Sì, si rafforza la tradizione.
5) Il 14 di ottobre c’è stata la prima proiezione di The Tailor al BIFF 2017, che è anche stata la World Premiere, il che significa che gli spettatori vietnamiti lo potranno vedere tra qualche settimane. Che cosa vi aspettate dall’audience vietnamita una volta che il film sarà al cinema?
TRAN: Effettivamente, quando facciamo un film, speriamo sempre che molte persone lo apprezzino, chiaramente. Il target del film sono le donne, possiamo dire dai 15 ai 50 anni circa, le donne in generale, it’s all about women (si tratta di donne).
NGUYEN: Penso che sia anche dovuto dai nostri temi, si parla di passione, si parla di valori familiari, si parla di vecchio e nuovo, e penso che questi siano valori universali a cui tutti possono relazionarsi. In aggiunta, in Vietnam adesso c’è una tendenza a tornare ai vecchi tempi. La Saigon degli anni Sessanta, è uno dei decenni più amati proprio a Saigon. Inoltre, quando c’è il Capodanno Lunare **, ogni anno, i cittadini vietnamiti indossano l’Ao Dai. C’è quindi anche un’altra tendenza a rilanciare l’Ao Dai. Perché una volta che si scappa da scuola, non lo si indossa più, a meno che non si abbia un matrimonio davvero formale o altre occasioni speciali. Ad ogni modo, lo indossiamo a ogni Capodanno Lunare e c’è questa tendenza che lo riguarda, un dibattito su quello ciò che è il corretto Ao Dai, qual è la giusta forma, qual è quello sbagliato e quale è giusto, quello più alla moda e quello più tradizionale. Quindi spero che molte persone in Vietnam possano comprendere ciò di cui stiamo parlando (nel film).
“Amiamo usare termini francesi e preparare cibo italiano, perché amiamo l’Europa. La cultura mondiale dominante è quella occidentale, volenti o nolenti”
6) La giovane Nuh Y ha occhi solo per vestiti occidentali, rifiutando così le tradizioni. Guarda verso la cultura e i paesi occidentali e “dimentica il passato”. Possiamo dire che, come Nuh Y, è comune tra i giovani orientarsi più verso la cultura occidentale e dimenticando la tradizione?
TRAN: Sì, credo proprio che si possa dire così.
NGUYEN: Credo che sia comune in Asia.
TRAN: Il Vietnam si è aperto a tutto e tutti, e oggigiorno le giovani generazioni sono influenzate dalla cultura occidentale.
NGUYEN: E’ ancora la cultura dominante. E come puoi notare, anche in Giapponese, si adora ciò che è francese. Ho lavorato in Giappone e ho notato che ai giapponesi piace usare parole francesi.
SILVIA. Anche qui in Corea, ci sono molti nomi di negozi, ristoranti o panetterie in francese.
NGUYEN: Adorano ciò che è francese e la cultura occidentale. E anche l’Italia, per quanto riguarda il cibo, la moda etc. perciò sì, è ancora la cultura dominante. Per quanto riguarda la nostra cultura, la cultura vietnamita, il Vietnam ha subito una lunga colonizzazione da parte dei Francesi. Nel passato, negli anni ’60, tutte le persone considerate parte dell’elite, quelli ben istruiti e i leader della società erano soliti parlare francese, non parlavano nemmeno il vietnamita, e anche le persone vecchie parlavano francese, non solo i giovani. Solo quelli che erano più nazionalisti e preferivano parlare il vietnamita. Poi, arrivarono gli americani e abbiamo iniziato a parlare inglese. Ecco perché si possono sentire delle parole in francese nel film. Nuh Y non ha questo gran livello sociale, è andata a una scuola superiore locale, parla il vietnamita, per questo motivo il suo francese non è perfetto, così come non lo è il suo personaggio. Ma comunque cerca lo stesso di usare alcune espressioni in francese, per essere più ‘a la mode’.
SILVIA. Parlando dell’espressione ‘olala’, è molto carina. Inoltre è molto bello vedere che anche la vecchia Nuh Y continua a dire ‘olala’ quando è sorpresa o quando qualche cosa non va per il verso giusto.
NGUYEN: Lei usa il francese perché è una fashionista, e per questo anche il suo linguaggio deve essere tale.
TRAN: Per esempio noi ultimamente, quando parliamo tra di noi, usiamo qualche parola in inglese.
NGUYEN: E come puoi vedere, l’attrice dice sempre ‘Oh, Thank You’ in inglese per ringraziare.
7) Sul sito ufficiale del BIFF 2017, nell’introduzione di The Tailor, viene utilizzata questa frase: “What if the movie The Devil Wears Prada were set in Vietnam?” (“Cosa succederebbe se il film Il Diavolo Veste Prada fosse ambientato in Vietnam?”). The Tailor viene quindi paragonato a Il Diavolo Veste Prada (David Frankel, 2006). Cosa ne pensate di questo paragone? E’ giusto chiamarlo in questo modo e i due film sono, per un certo verso simili?
NGUYEN: Siamo felici che lo chiamano così, perché vogliamo avere un film sulla moda ed è un film sulla moda per le masse. Non è alta moda o qualcosa che le persone normali non possono capire. Quando abbiamo guardato Il Diavolo Veste Prada, l’abbiamo usato come un’ispirazione, è come rendergli un omaggio. Abbiamo visto il film e pensato: “Perché non facciamo una versione vietnamita?”. Se dicono che è Il Diavolo Veste Prada ambientato in Vietnam, negli anni ’60 e oggigiorno, penso che sia un complimento. Perché abbiamo cercato di dimostrare che è un omaggio, non che sia una copia, ad esempio nella prima introduzione del diavolo, Helen. E voglio che la gente lo riconosca, che lo veda. Anche tutte le marche di moda, che appaiono nel film, sono molto popolari in Asia, si può capire che sono molto popolari a causa di tutti i prodotti contraffatti che ci sono. E questi sono i prodotti più falsificati. È quindi un film di moda per tutti.
SILVIA: Sono stata influenzata dal commento sul sito web del BIFF, per questo ho pensato che la scena in cui Nuh Y sta camminando, mostrando il suo cambiamento, sia nell’atteggiamento che nei vestiti, assomigliasse molto alla scena dove Andy (Anne Hathaway) cammina per andare al suo posto di lavoro mostrando diversi abiti.
NGUYEN: Questo è stato fatto inconsciamente.
TRAN: Tutti i registi lo fanno e come registi dobbiamo imparare l’uno dall’altro. Noi siamo giovani registi, anche in Vietnam siamo considerati giovani registi e vorremmo seguire i passi dei più esperti. Cosa è giusto da seguire. Quindi sono felice quando le persone capiscono e ammettono che abbiamo reso qualcosa in maniera corretta.
** E’ il primo giorno dell’anno secondo il calendario lunare cinese.
*photographs provided by the Public Relations team of 22nd Busan International Film Festival ©