Quando nel maggio scorso ho fatto la TOP 10 dei film con protagonisti femminili ho deciso di scrivere un editoriale più approfondito partendo dallo origini del cinema coreano fino ad arrivare ai giorni nostri, il lavoro di ricerca è stato abbastanza difficile ma ce l’ho fatta e sono contenta di poter condividere con voi la storia del cinema coreano visto da un altro punto di vista, quello femminile che viene trattato sempre troppo poco.
Sin dalle origini del cinema la figura della donna è sempre stata marginale, tanto che nei primi film in bianco e nero i personaggi femminili venivano interpretati da uomini, film come “Addio Mia Concubina” di Chen Kaige o “Shakespeare in Love” di Stephen Warbeak ci mostrano chiaramente come la discriminazione di genere non era assolutamente solo un’esclusiva coreana; questo tipo di idea, però, in Corea rimane sedimentata negli anni, per vedere la prima attrice bisognerà attendere il 1923 con Lee Wol Hwa.
Questo però non ci faccia pensare che dal ’23 la vita delle attrici e dei loro personaggi fosse tutta in discesa, bensì, tutto il contrario, le donne potevano interpretare solo personaggi di finzione, almeno fino al 1961, dove comunque i personaggi femminili devono rispettare i canoni voluti dal confucianesimo in cui la donna poteva essere solo la morigerata moglie e madre, come ben racconta il film di Sang Song Ok “Mother and a guest” dove la recitazione delicata di Choi Eun Hee rispetta tutti questi standard; una grande rilevanza non solo stilistica ma anche a livello di botteghino fu “Love me once again” del 1968 di Jung So Young in cui la donna non solo è una moglie devota ma è anche vittima di un marito fedifrago e, nonostante il suo essere donna sottomessa, la tradizione confuciana, che ancora si respirava, fa si che lei perdoni il marito e addirittura arrivi a giustifichi ogni volta.
Una seconda immagine della donna si sovrappone a quella che segue gli standard voluti dal confucianesimo; la famme fatale, che rispecchia i più occidentali canoni dell’emancipazione femminile, uno dei film più esplicativi è la pellicola di Han Hyung Mo “Madame Freedom” del 1956 in cui una donna forte ed indipendente vuole liberarsi dal marito despota, e grazie alla sua passione per la danza riesce a liberarsi.
Negli stessi anni incontriamo un altro regista che fa della figura della donna diabolica un suo marchio di fabbrica, stiamo ovviamente parlando di Kim Ki Young e nello specifico del suo film capolavoro “The Housemaid”, in cui la protagonista inverte totalmente l’immagine femminile dell’epoca seducendo e distruggendo la vita del protagonista.
Da questi due ultimi film possiamo aprire due grandi parentesi, se su The Housemaid abbiamo detto tutto o quasi anche grazie al remake del 2010 di Im Sang Soo, di “Madame Freedom” vi abbiamo detto poco e niente, il film di Han Hyun Mo sente una grande influenza americana, tanto che alcuni anni dopo il regista Jeon In Yeob s’ispira a questa pellicola per il suo “The Aema Woman” al quale seguirono addirittura tre sequel aprendo, anche, il filone del cinema erotico, genere che ancora oggi va per la maggiore, nonostante l’immagine di donna forte anche in questo film lo spettro del passato confuciano è ancora vivo tanto che la donna alla fine verrà punita.
Tornando indietro nel tempo di una decina di anni troviamo il filone cinematografico che nasce nel periodo della censura militare, stiamo parlando degli Hostess Film, questa tipologia di film segue la veloce industrializzazione che ha portato le fasce più povere della popolazione ad ‘adeguarsi’ al cambiamento degli stili di vita portando i cittadini dalle campagne alle grandi città per lavorare in fabbrica o, nei casi più poveri, portando molte donne a prostituirsi. Nel decennio tra il 1977 e il 1987 ci furono alcune pellicole significative tra cui “Miss O’s Apartement” di Byun Jang Ho e “Winter Woman” di Kim Ho Sun; questi film, come molti altri, raccontano di giovani donne che dai paesi più poveri del paese si trasferiscono a Seoul, ma per guadagnare diventano prostitute o oggetto di fissazione voyeuristica. Negli anni ottanta l’immagine della donna lavoratrice del sesso si fa più vivida, anche grazie alla fine del regime militare che lascia ai registi più libertà d’espressione, tanto che in film come “Prostitution” di You Jin Sun del 1988 e in due pellicole di Im Kwon Taek “Ticket” (1986) e “Downfall” (1997) la prostituzione era vista come il lato oscuro della modernizzazione che spingeva giovani donne a trasferirsi dalla campagna alle città, in questi anni la prostituzione era vista in maniera più umanistica ma sfortunatamente questo messaggio è passato in sordina.
Negli anni ’90 le donne possono finalmente interpretare con più libertà personaggi realmente esistiti, come nel film “Only Because You Are a Woman” di Kim Yu Jin in cui la protagonista è una donna vittima di violenza sessuale, ma nonostante la maggior libertà d’espressione la donna viene vittimizzata nell’aula del tribunale mostrando ancora una volta la debolezza della donna nel sistema sociale coreano. In questi anni un’altra idea s’insidia nella narrazione cinematografica, ovvero quella per cui una donna non può avere sia la carriera che la famiglia fallendo così come donna per l’ideale coreano, questo cambiamento della visione femminile viene chiamato Sindrome di Wonder Woman, in “A Hot Roof”, invece, si iniziano a vedere i primi cambiamenti nella società; la protagonista del film di Lee Min Young trova nella solidarietà femminile una fuga dai continui soprusi del marito, come spesso succede questo film d’accusa è raccontato in chiave storica.
Come è ormai chiaro in questi anni nasce nei registi coreani il desiderio di dare alla donna un’immagine più forte e realista, nascono così i film di genere. Abbiamo già accennato ai film erotici, ma oltre a questa categoria il cinema coreano si apre ad altri generi, tra cui le Romantic Comedy, questo genere ha contribuito a trasformare l’immagine tragica della donna in un’immagine sicura, provocante, entusiasta e di successo sul lavoro. Nonostante questi cambiamenti l’idea che la donna possa avere sia un lavoro di successo che una famiglia è ancora un’idea utopica, tanto che solo a fine millennio le donne in carriera possono anche avere una vita sessuale senza essere punite per il loro comportamento, le pellicole che si possono prendere in considerazione sono due pellicole del 1998 “Girls Night Out” di Im Sang Soo e “An Affair” di J-Yong, ma il vero film che ribalta completamente i ruoli è “Happy End” di Jung Ji Woo del 1999 in cui la donna è quella che in famiglia detiene il potere economico portando più soldi in casa, la protagonista femminile è Jeon Do Yeon che negli anni a venire è poi diventata la più grande diva coreana vincendo il maggior riconoscimento per un’attrice al festival di Cannes.
Una nuova immagine del potere femminile si ha con un genere che in tutta l’Asia va per la maggiore; il genere Horror, il film come “Tale of Two Sisters” o “The Uninvited” i personaggi femminili sono d’impatto, forti e complessi.
Siamo quasi giunti alla fine del nostro excursus storico-sociale arrivando ai primi anni 2000; con l’avvento dei Blockbuster movie le cose per i personaggi femminili non sono cambiate, il ruolo della donna è quasi del tutto marginale e spesso è retrocessa a mero oggetto sessuale o vittima inerme come mostra il capolavoro di Kim Ki Duk “Ferro 3”. Solo nell’ultimo decennio i ruoli di forza delle donne sono stati sdoganati come in “The Thives” e nel recentissimo “Assasination” entrambe di Choi Dong-hoon o in “The Taste of Money” di Im Sang Soo. Da pochi anni il ruolo della donna sta vivendo una vera e propria rivoluzione che rappresenta anche la nuova rivoluzione femminile della società coreana odierna.