Milano, 29 aprile, a pochissimi giorni dall’Expo che mobiliterà l’intera città, all’Università Statale degli Studi di Milano, alla sede di Sesto Marelli, si è tenuta una conferenza sui Diritti Umani della Corea del Nord.
Questo incontro è un evento molto singolare, quasi unico nel suo genere, come ha detto in apertura il professor Cho Min Sang, insegnante di coreano e mediatore della conferenza, considerato quanto è complicato poter anche solo incontrare dei cittadini della Corea del Nord. Insieme ai due ospiti d’onore Shin Dong Hyuk e Park Ji Hyun erano presenti anche due autorità politiche; il Console coreano a Milano e la Presidentessa della dislocazione milanese del Comitato di Riunificazione delle Due Coree. Chi starà leggendo questo articolo forse sa solo che le due Coree sono divise, quindi, prima di concentrarmi sulla conferenza ho deciso di fare un breve riassunto:
Al termine del secondo conflitto mondiale, la Corea era divisa in due zone: la parte settentrionale occupata dai Sovietici, e la parte meridionale sotto il potere degli Americani. La linea di demarcazione correva lungo il 38° parallelo. Si erano, quindi, costituiti due governi: la Repubblica Democratica al Sud (filoamericana) e la Repubblica Popolare al Nord, di connotazione sovietico-comunista. La guerra di Corea (1950-1953) fu il momento più acuto della guerra fredda, perché si temeva lo scontro armato tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Il conflitto ebbe il suo inizio con l’attacco improvviso delle truppe coreane comuniste che oltrepassarono il 38° parallelo, a causa di questo attacco l’ONU dichiarò la Corea del Nord paese aggressore e gli Stati Uniti furono, così, autorizzati ad intervenire. La guerra si stabilizzò attorno al 38° parallelo e in seguito a varie trattative, il 27 luglio 1953 a Panmunjeon (판문점) fu firmato un armistizio, che ripristinò sostanzialmente la situazione preesistente, con l’aggiunta della Zona demilitarizzata coreana. La Corea rimase, quindi, divisa in due stati: Corea del Nord, con capitale Pyongyang e Corea del Sud, con capitale Seul. A causa del conflitto la penisola ha subito 2 milioni perdite umane.
Finito l’excursus storico lasciamo la Corea del Sud delle luci e del cinema di cui parliamo tutti i giorni e oltrepassiamo il 38° parallelo arrivando in Corea del Nord. Non a caso ho parlato di luci riferendomi alla Corea del Sud sottolineando la contrapposizione con il buio del Nord, il professor Gavinelli, docente di geografia e vice direttore del dipartimento di Mediazione Linguistica e Culturale della Statale di Milano anch’egli presente – se pur per un tempo limitato- alla conferenza, oltre a portare i saluti istituzionali dell’intero dipartimento ha approfondito il discorso Corea del Nord dal punto di vista puramente geografico, l’immagine che mi ha particolarmente colpita, e dalla quale voglio partire, è l’idea di Buio. Il professor Gavinelli ha riportato il racconto di una sua recente lezione di Geografia Urbana dove ha mostrato ai suoi studenti un’immagine del Pianeta illuminato dalle città e mentre l’intero Pianeta era illuminato, la Corea del Nord era un piccolo buco nero, completamente al buio.
È proprio sull’idea di buio che voglio soffermarmi e partire con il nostro discorso.
La Corea del Nord per noi è solo un’immagine lontana, anche gli appassionati di Corea e cultura coreana vedono nella parte Nord della penisola solo ed esclusivamente la follia dei suoi dittatori a partire da Kim Il Sung, passando dal figlio Kim Jong Il al nipote Kim Jong Un, quest’ultimo tristemente famoso per le continue minacce al Sud degli ultimi anni e per l’immagine sfalsata e grottesca del film The Interview, ma quello che quasi nessuno conosce, o di cui si cerca di ignorare l’evidenza, sono i campi di concentramento.
Poco più di un anno fa il Senatore Razzi ha dichiarato “La Corea del Nord è un paese dove le strade sono pulite,[…], diritti umani calpestati? Non mi sembra“¹ questa dichiarazione ha dell’assurdo visto che a farla è stato un Senatore della Repubblica Italiana, ma andando oltre agli scempi della politica nostrana arriviamo al focus del nostro articolo, i campi di concentramento, i campi di lavoro e di rieducazione in Corea del Nord. Ci sono quattro campi di concentramento (inizialmente erano sei ma uno è stato eliminato e uno ricollocato non si sa dove specificatamente) sparsi per il paese, uno per ogni area di maggior interesse, ognuno di essi ha un compito preciso, il più -tristemente- famoso è il Campo 14, il campo di concentramento dedicato ai prigionieri politici. L’ONU ha dichiarato “In tutto il Paese ci sono dagli Ottantamila ai Dodicimila detenuti nei campi di concentramento i quali vengono eliminati gradualmente attraverso torture, denutrizione, lavori forzati, stupri, aborti forzati, infanticidi e, ovviamente anche, tramite esecuzioni”.
Durante le quasi tre ore di conferenza ho avuto la possibilità di ascoltare dalla voce viva di due ex detenuti le brutalità di quei luoghi. Il primo a fare il suo intervento è Shin Dong Hyuk, fuggito dal Campo 14 ha scritto in libro intitolato proprio “Fuga dal Campo 14”. Nato nel campo di concentramento, Shin Dong Hyuk, ha visto morire la sua intera famiglia a causa di un suo errore involontario; quando era un bambino ha innocentemente raccontato il progetto di fuga della sua famiglia, a causa di questa sua confessione sono stati tutti giustiziati. Quando a sua volta decise di scappare il pensiero della sua famiglia rimase costante per tutto il tempo “non per il senso di colpa ma per la paura di fare la stessa fine”, questa è una dichiarazione che lascia spiazzati e fa comprendere la brutalità di quei luoghi, il racconto diventa ancor più sconcertante quando il giovane racconta che “arrivavamo ad invidiare i morti giustiziati perché non avrebbero più sofferto la fame”. Fame, come dicevamo prima, dalle documentazioni dell’ONU risulta che la denutrizione è uno dei più alti fattori di morte tra i prigionieri Nord Coreani, e anche se non confermato ufficialmente, si sospetta lo sia anche per il popolo ‘libero’. Il cibo è dato in razioni uguali, molto scarse, che oltre al senso di fame lasciano altrettanta debolezza, non idonea ai lavori forzati che i prigionieri sono costretti a eseguire tutti i giorni, “spesso sognavamo di essere animali; uccelli, cani, maiali, perché loro a differenza nostra erano liberi e mangiavano meglio di noi”. L’intervento si è concluso con uno scambio di opinioni con gli studenti della Statale in cui Shin Dong Hyuk risponde sinceramente alla domanda “come ha fatto a scappare?” con un semplice “I veri intelligenti sono quelli che rimangono nei campi e trovano il modo di sopravvivere, chi scappa deve essere totalmente pazzo. Io son sopravvissuto solo grazie a molta fortuna”. Un interessante intervento di un ragazzo sinocoreano ha messo in luce il problema dell’aggressività di alcuni fuggitivi, raccontando una storia personale in cui uno dei suoi amici è stato pugnalato da un giovane scappato dai campi; se l’immigrazione non è di massa come da noi la paura spesso è la stessa, “mi sorge il dubbio, è meglio aiutarli o segnalarli alla polizia?” per Shin Dong Hyuk la risposta non è del tutto semplice, il problema di fuggitivi aggressivi è un problema molto delicato “ma per pochi non è giusto rifiutare l’aiuto a tutti.”, ha concluso.
La seconda testimonianza è quella che, sinceramente, mi ha colpito di più al cuore, forse perché si tratta di una donna che sottolinea come i diritti delle donne siano totalmente inesistenti nella parte Nord del 38° parallelo.
La storia di Park Ji Hyun potrebbe considerarsi una storia da romanzo, fuggita dalla Corea del Nord attraverso i trafficanti cinesi è stata venduta e ad un uomo che, sotto la minaccia della deportazione, l’ha seviziata mettendola incinta. Sei anni dopo la nascita di suo figlio, Ji Hyun è stata denunciata e riportata in Corea del Nord, la sentenza è quella di “fuggitiva per motivi economici” per i quali è stata deportata in un Campo di Rieducazione “se sei una donna, la prima cosa che ti fanno arrivata al Campo è un esame del sangue, per vedere se sei incinta” questo non fa sì che le donne in gravidanza vengano trattate meglio, al contrario, a queste donne vengono dati lavori più pesanti e una razione di cibo ancor più scarsa forzandone così l’aborto “dopo una giornata di lavoro, una donna si è accasciata al suolo ed ha abortito, per giorni, è stata sporca del suo sangue e della placenta che ha perso, finché non è morta”.
Le condizioni di lavoro e igieniche sono al di sotto di qualsiasi soglia di fatica e sporcizia immaginabili “se qualcuna di noi veniva scoperta a lavarsi i vestiti durante il ciclo veniva costretta a portare le mutandine sporche di sangue in testa”; a causa del mancato igiene e di una ferita Ji Hyun contrae il tetano, arrivando al punto di non riuscire neanche più a stare in piedi viene rilasciata, la donna in quel momento si trovò completamente sola.
Senza niente di cui vivere e malata, il suo unico desiderio era quello di riabbracciare suo figlio “pregavo notte e giorno per poter rivedere il mio bambino” ci racconta, con la voce spezzata dall’emozione, decise quindi di tornare in Cina ancora una volta con l’aiuto dei trafficanti di uomini, i quali impietositi dalla donna, le permisero di chiamare a casa.
Dopo numerosi tentativi di poter parlare col figlio la donna riesce a raggiungerlo e scopre che non solo gli era stato detto che la madre l’aveva abbandonato e non sarebbe mai più tornata a riprenderlo ma anche che veniva schiavizzato e ridotto alla fame “speravo che almeno in Cina i bambini non morissero di fame”, decise quindi di scappare in Mongolia col figlio, lungo il viaggio viene aiutata da un uomo con cui ora è sposata e ha altri figli.
Questa storia è una di quelle che ti rimangono tatuate indelebili nella mente e nel cuore, vi confesso che ora, mentre scrivo ho ancora il magone per questo racconto. È passato poco più di una settimana da questo incontro e ho fatto molta fatica a raccogliere le idee, non posso che essere ancora estremamente colpita da questi racconti di sofferenza e coraggio, è anche, e soprattutto, per questo che ho deciso di scrivere un articolo a riguardo. Il mio è un blog leggero che parla di frivolezze ma ci tenevo a riportare queste testimonianze, perché il primo modo per sconfiggere l’ignoranza è proprio diffondere le parole di chi ha vissuto quell’inferno e ne è uscito vincitore. Spero che stiate leggendo queste mie parole perché vuol dire che avete letto tutto l’articolo, ci tengo particolarmente perché sicuramente avrà arricchito la vostra conoscenza di una tematica pressoché sconosciuta. Riporto, in conclusione, la richiesta di Shin Dong Hyuk e Park Ji Hyun “parlatene per far conoscere al mondo quello che succedere in Corea del Nord”, bisogna accendere i riflettori sul quel piccolo punto buio che è la Corea del Nord.
fonti:
– ONU